Prologo e primo episodio

Diamo qui inizio a un nuovo «feuilleton»[1], dedicato alla classe media nella lotta di classe. La classe media è l’oggetto di una sovrabbondante produzione nell’ambito della letteratura politica e sociologica borghese, ma è ampiamente trascurata dalla teoria comunista attuale. Cercheremo di rimediarvi. Dato che la questione è proteiforme, ci limiteremo al campo della classe media salariata (CMS) nel capitalismo odierno. Le sue lotte sono numerose, talvolta spettacolari e violente, e scoppiano ovunque nel mondo. Ma non è questa la ragione principale per cui pensiamo sia necessario affrontare la questione. La nostra preoccupazione centrale non è in effetti la quantità, ma la natura di queste lotte e il loro rapporto con quelle del proletariato. In definitiva, dalle numerose analisi parziali che dovremo sviluppare, speriamo di trarre una visione d’insieme del problema della CMS nel contesto di una rivoluzione comunizzatrice. I risultati ai quali perverremo devono essere considerati come provvisori e aperti alla discussione.

In un primo tempo, cercheremo di definire il campo e l’oggetto delle nostre investigazioni (episodio 1), di porre le basi per una teoria della classe media (episodio 2), e di servirci di questi risultati per analizzare il caso del movimento francese del 2016 contro la riforma El Khomri (episodio 3). Bisognerà poi allargare le nostre ricerche alla questione dell’interclassismo e agli altri paesi.

Primo Episodio: Lucciole e lanterne

Quella che segue è una presentazione generale dei problemi che affronteremo nel «feuilleton».

  1. Esiste una classe media salariata?

Nelle ricerche teoriche prodotte dal milieu della comunizzazione, la classe media viene spesso trattata in maniera subalterna. Crediamo che le ragioni possibili siano numerose:

– Nella sua versione programmatica, la teoria comunista considerava la classe media (salariata o indipendente) come un bersaglio della politica proletaria, che fosse per stringere alleanze con essa, oppure per biasimarla. Nella sua versione comunizzatrice, la teoria comunista ricusa qualsiasi idea di sbocco politico della propria attività e dunque, a maggior ragione, qualsiasi idea di alleanza interclassista. La classe media è dunque più o meno scomparsa dalla sue preoccupazioni.

– La classe media è oggi formata principalmente da salariati, e questa somiglianza superficiale con la condizione proletaria ha sovente condotto i commentatori a farne un’appendice del proletariato. In questo tipo di visione, la CMS sparisce in quanto tale.

Per concludere, noi pensiamo che la CMS costituisca un oggetto teorico a pieno titolo, e che averlo finora trascurato sia stata la fonte di fraintendimenti dannosi per l’analisi e l’apprezzamento di numerose lotte attuali (Oaxaca 2006, Tunisia e Egitto 2011, Francia 2010 e 2016, etc.). Come vedremo, una migliore comprensione della CMS permette di meglio far luce sulla questione del proletariato stesso.

The proof of the pudding is in the eating, recita un proverbio inglese. La prova della classe media, sono le sue lotte. Sono queste ad averci spinto ad esaminare per se stessa la questione della CMS. Movimenti sociali come quelli in Iran nel 2009, in Israele nel 2011, in Turchia nel 2013, a Hong Kong nel 2014 etc., ci hanno fatto assistere alle proteste di massa di ampie frazioni della classe media salariata, contro le condizioni economiche e sociali che le modalità attuali dell’accumulazione del capitale le impongono (crisi economica, mondializzazione, bolle immobiliari, perequazione distorta del saggio di profitto). Bisognerà caratterizzare queste lotte, valutare il loro grado di «purezza di classe», giacché il proletariato di frequente vi si associa, talvolta in maniera massiva (Tunisia e Egitto, 2011), talvolta in maniera più limitata (Oaxaca 2006, Venezuela 2014, Francia 2016).

È impossibile ignorare le lotte della CMS, soprattutto nell’epoca attuale. Ovunque, nel mondo, esse danno luogo a manifestazioni gigantesche e spettacolari, che fanno impallidire d’invidia militanti e attivisti. Si tratta a volte di manifestazioni estremamente violente in cui, per quanto «piccolo-borghesi», i manifestanti danno prova di grande audacia e coraggio. Infine, succede che siano anche vittoriose, come quando ottengono la caduta di un Ben Ali o di un Mubarak. Bisognerà analizzare le condizioni e il contenuto reali di queste vittorie.

  1. Definizioni vaghe della classe media salariata

Uno dei problemi che si incontrano quando si abborda la questione della CMS, è quello della sua definizione. Taluni arrivano a sostenere che, dato che non si riesce a disegnarne chiaramente i contorni, la classe media non esista affatto, ma costituisca piuttosto la frazione superiore del proletariato. Cosicché le classi medie sarebbero, per l’essenziale, composte da proletari. «Per l’essenziale»: per il resto costoro ammettono la nozione di classe media, ma per farne una no man’s land priva di limiti definiti. Questo non ci fa fare grandi passi in avanti. In questo genere di ragionamenti, lo statuto salariale predomina sulle altre determinanti: il fatto di essere salariati equivale ad essere proletari. Il livello dei salari non viene tenuto in conto, se non per i salari più elevati.

Le categorie socio-professionali possono aiutarci? In sostanza, le statistiche sulla popolazione attiva mostrano che, storicamente, un nuovo strato sociale composto di salariati, si è formato ed è cresciuto nella misura in cui si sono ridotte le dimensioni della piccola borghesia propriamente detta (contadini, commercianti, artigiani).

 

Francia: le classi medie nella popolazione attiva (in migliaia)

  1962 1975 1982 1999 2005 2010 2014
Classe media indip. 5.025 3.348 3.176 1.969 2.040 2.068 2.039
Classe media salariata 2.703 4.268 5.350 7.983 9.115 10.129 10.735

Fonte: INSEE e Serge Bosc, Sociologie des classes moyennes, La Découverte, Paris 2008

Si nota che il relativo declino della classe media indipendente è più che compensato dall’ascesa di nuove professioni salariate (insegnanti, quadri, tecnici, amministratori di ogni ordine etc.). Una simile evoluzione non è limitata alla Francia: essa ha luogo in tutti i paesi. È più netta nei paesi centrali, ma ha luogo anche nelle zone periferiche. Detto ciò, questi nuovi salariati formano davvero una classe? Che cosa hanno in comune una maestra di scuola e un quadro amministrativo, un caporeparto e un ispettore del lavoro? Le categorie socio-professionali della statistica non permettono di rispondere a questa domanda.

Che esista o meno, che si possa o meno tracciarne i confini, la classe media è l’oggetto di un numero incalcolabile di libri ed articoli. La sociologia si interessa tanto più a quest’oggetto-fantasma, nella misura in cui è per eccellenza il bacino elettorale che si contendono politici e governi di ogni colore. Oltre al tenore di vita, gli approcci inerenti alla CMS chiamano in causa anche il livello di istruzione, il modo di vita etc. Questi criteri non permettono di essere più chiari dell’approccio basato sulla condizione salariata o le categorie socio-professionali.

  1. Per una definizione marxiana della classe media salariata

Ora, noi pensiamo invece che sia possibile definire la classe media salariata in maniera rigorosa e marxiana, anche se questa definizione sarà inutilizzabile per i sociologi, i politici e i pubblicitari. Per «marxiana», intendiamo dire che questa definizione si radica nell’analisi fondamentale dell’accumulazione del capitale, ovvero dell’estrazione e della circolazione del plusvalore. Poco importa, d’altronde, che questa definizione si allontani dalla lettera dei (pochi) passaggi che Marx ha potuto consacrare alle classi medie, sotto l’appellativo di «mangiatori di plusvalore», «classi improduttive» o «corpi ideologici». Nel migliore dei casi, si tratta di nozioni imprecise, che risultano problematiche nel quadro della costruzione di una teoria generale della classe media. Vedremo invece che l’analisi dei salari, permette di stabilire che i lavoratori della classe media salariata ricevono dal capitale un sovrasalario [sursalaire, ndt] che eccede il valore della loro forza-lavoro. Questo salario extra si traduce in un sovraconsumo e in una formazione di riserve, che sono le caratteristiche visibili della CMS. Da dove viene questo sovrasalario, e qual è la sua funzione? È ciò che dovremo spiegare.

È a partire da una definizione marxiana della classe media salariata, che diventa possibile comprendere l’andamento delle sue lotte, così come i rapporti fra queste e le lotte del proletariato, siano esse quotidiane o insurrezionali. Questa definizione permette infatti di cogliere gli interessi oggettivi degli attori della lotta, la loro posizione nel meccanismo fondamentale della riproduzione capitalistica. Ad esempio, i maestri e le maestre di scuola di Oaxaca (Messico) sono senza dubbio piuttosto poveri. Le cifre mostrano tuttavia che ciò non ne fa ipso facto dei proletari, ed è qui che trovano origine i limiti intrinseci delle loro lotte. È inutile deplorare o tentare di forzare questi limiti. Quanto a noi, che ci poniamo nella prospettiva di una rivoluzione comunizzatrice, accontentiamoci di constatare che la loro lotta non è la nostra. In generale, e nella misura in cui la parte di sovrasalario che si trova nei redditi della CMS è tratta dal fondo generale del plusvalore sociale, l’interesse oggettivo della CMS è che questo fondo sia alimentato il più possibile. Ciò equivale a dire che è interesse della CMS che lo sfruttamento del lavoro si mantenga e si rafforzi. Ed è ciò che permette di comprendere tutte le ambiguità dell’interclassismo.

  1. L’interclassismo

Mentre la CMS lotta per il suo sovrasalario, ovvero in favore dello sfruttamento del lavoro, nelle sue lotte quotidiane il proletariato si sforza di limitare questo sfruttamento. Ciononostante, malgrado l’apparente contraddizione fra i loro interessi «oggettivi», il proletariato e la CMS si trovano spesso a lottare fianco a fianco contro un nemico comune. Lo si è visto, in particolare, in Tunisia e in Egitto. Questa convergenza risulta paradossale, solo se si dimentica che anche il proletariato ha interesse a che lo sfruttamento si perpetui, laddove voglia difendersi dai licenziamenti, le delocalizzazioni e la chiusura delle fabbriche , e tentare di mantenere intatto il suo tenore di vita all’interno della riproduzione della società capitalistica. È in questa configurazione del rapporto fra proletariato e capitale (quella delle lotte quotidiane) che le lotte proletarie possono convergere con quelle della CMS.

L’interclassismo consiste dunque nel fatto che due classi dagli interessi oggettivamente contrapposti, si associno nella lotta. Occorre definire questa associazione. Si tratta di un’associazione politica? È essa volontaria o è semplicemente dettata dalle circostanze? Affinché la CMS si metta in movimento, è necessaria una crisi relativamente importante della valorizzazione, una crisi tale che il suo tenore di vita ne risulti sensibilmente intaccato. Tali condizioni si ripercuotono anche sul proletariato, e possono suscitare egualmente il suo ingresso nell’agone. L’associazione del proletariato alla lotta della CMS si verifica in forme diverse. Può essere più o meno massiva, andando dalla partecipazione alle manifestazioni a titolo individuale fino allo sciopero di grandi proporzioni, passando per la formulazione di rivendicazioni specifiche che approfittano dell’opportunità offerta dalla discesa in lotta della classe media. Ad ogni modo, i fatti che abbiamo osservato sembrano condurre alla seguente conclusione: affinché una lotta della CMS risulti vittoriosa (qualunque cosa se ne possa pensare), bisogna che il proletariato vi si sia associato, e per di più in modo massivo; bisogna che esso appaia come classe che difende i suoi propri interessi. Non basta che un certo numero di proletari si uniscano alla lotta della CMS a titolo più o meno individuale, per esempio partecipando alle manifestazioni o alle sommosse. Se la classe non appare in quanto tale, gli individui proletari verranno fagocitati nel movimento della CMS. Allora questa apparirà sola di fronte al suo nemico che, come vedremo, è generalmente lo Stato. Quest’ultimo, in assenza di una minaccia dal lato del proletariato, non avrà difficoltà a respingere l’offensiva della classe media. È ciò che si è visto, per esempio, con il movimento Occupy negli Stati Uniti, con l’«onda verde» in Iran, o anche a Oaxaca.

L’interclassismo può anche trovare il suo punto di partenza nelle lotte del proletariato, alle quali la CMS può unirsi in forme più o meno massive. Il risultato è sempre il medesimo, e non inficia la regola stabilita in precedenza: affinché una lotta della CMS sia vittoriosa, la condizione necessaria (ma non sufficiente) è che si svolga in un contesto interclassista, nel quale il proletariato appaia in massa e in quanto classe propria del modo di produzione capitalistico.

Molti compagni pensano che, tenuto conto del disordine generale provocato dalle manifestazioni, dalle sommosse etc., di una lotta interclassista, il proletariato potrebbe approfittare della situazione per dare avvio a una rivoluzione. Per esempio, le tre settimane vulcaniche che hanno bloccato l’Egitto nel gennaio-febbraio 2011, avrebbero avuto, secondo questo modo di vedere, un potenziale rivoluzionario. Ora, è escluso che una lotta interclassista possa evolvere in movimento rivoluzionario per generalizzazione e/o approfondimento della propria dinamica. E questo, non perché la classe media dirigerebbe o manipolerebbe il proletariato per distoglierlo dai suoi propri obiettivi, ma perché la natura stessa dell’interclassismo implica che il proletariato lotti all’interno delle compatibilità del capitale, ovverosia per un miglioramento delle condizioni del proprio sfruttamento, e non in rottura con esse. Una simile rottura può effettivamente avere luogo all’interno del maelström interclassista, ma essa implica in primo luogo di rompere con le modalità stesse dell’interclassismo.

E ancora: l’interclassismo – in ogni caso nella fase attuale – ha regolarmente per contenuto un attacco delle due classi contro lo Stato, che è l’interlocutore per ottenere i miglioramenti sperati nelle modalità dello sfruttamento e/o a livello del sovrasalario. Il rapporto con lo Stato è ciò che accomuna le due classi nell’interclassismo. Esse gli chiedono di regolare il rapporto sociale in loro favore (democratizzazione, lotta alla corruzione, diritto del lavoro, sindacati indipendenti etc.) contro le influenze opposte, in particolare quelle delle imprese multinazionali e delle organizzazioni sovranazionali. Allorché lo Stato è il datore di lavoro (pubblico impiego, imprese nazionalizzate), è ancora in virtù della sua funzione regolatrice che le lotte interclassiste si rivolgono ad esso. Difesa dell’impiego, creazione ex nihilo di posti di lavoro per laureati privi di occupazione, «diritto allo sviluppo», interventi per evitare la chiusura di certe imprese: sono queste le rivendicazioni che, regolarmente, vengono ad aggiungersi alle altre, più classiche, riguardanti il salario e le condizioni di lavoro.

Dunque, i limiti delle lotte interclassiste consistono, fondamentalmente, nel fatto che le due classi in oggetto si rivolgano allo Stato ben più di quanto non attacchino il capitale. Questa è quantomeno la diagnosi che si può fare, laddove si considerino le lotte interclassiste che si sono svolte sotto i nostri occhi dall’inizio del secolo. Bisognerà mettere alla prova quest’ipotesi attraverso ulteriori approfondimenti.

  1. Qual è la posta in gioco?

Da ciò che precede, si dovrebbe comprendere che il nostro obiettivo è (almeno) triplice. Da un lato, si tratta di fondare una vera teoria della classe media salariata. Si vedrà che alcuni elementi di essa esistono già, ma che sono stati singolarmente trascurati dalla corrente comunizzatrice. D’altra parte, sulla base di questa teoria, bisognerà approfondire la comprensione dell’interclassismo e dei suoi limiti intrinseci. Infine, si tratterà di operare chiaramente delle distinzioni fra i diversi movimenti sociali. Quale classe è in azione? Se si tratta del proletariato, in quale contesto si muove (interclassista o meno, lotta quotidiana o qualcosa di più)? Non bisogna indietreggiare di fronte alla diagnosi per cui anche i movimenti più intensi e generali, come le primavera tunisina o egiziana, non contenevano alcuna prospettiva rivoluzionaria reale sulle loro proprie basi (interclassiste). Ciò vi era inscritto doppiamente: la lotta del proletariato, in assenza di un’insurrezione contro il capitale (piuttosto che contro la polizia) non usciva dal corso quotidiano della lotta di classe; e l’associazione del proletariato con la classe media rafforzava questo limite delle lotte propriamente operaie.

Certo, non si può escludere che, nel turbine di un movimento all’egiziana (diverse settimane di sommosse, di enormi manifestazioni, di occupazioni di piazze – tutte attività non particolarmente rivoluzionarie), intervenga una rottura che faccia passare la lotta del proletariato ad un altro livello, qualitativamente differente. Una simile rottura, finora, non ha mai avuto luogo. Abbiamo già detto che essa non si darà per transcrescenza del processo interclassista. Non è facendo più manifestazioni, ancora più «di massa» e in un numero maggiore di luoghi, che si farà passare un movimento dallo stadio rivendicativo a quello rivoluzionario. E possiamo aggiungere che la rottura non si farà nemmeno per transcrescenza della sola attività proletaria all’interno di questo processo (più scioperi, più manifestazioni indipendenti, più autonomia rispetto alla CMS etc.). La rottura con l’interclassismo sarà provocata da una modificazione significativa del rapporto proletariato/classe media/capitale; e quale che sia, essa porterà con sé un cambiamento importante nelle pratiche di lotta del proletariato. Nel momento in cui il proletariato cessa di indirizzarsi allo Stato per negoziare, e attacca il capitale in un’attività di crisi che non ammette discussioni, non c’è più motivo di organizzare gigantesche manifestazioni o di occupare le piazze, e nemmeno le fabbriche.

La posta di una teoria marxiana della classe media è dunque quella di porre – grazie a una migliore comprensione di ciò che questa classe è – l’analisi delle lotte attuali all’altezza delle esigenze della comunizzazione. È solo in una prospettiva programmatica che le lotte interclassiste possono essere considerate come l’humus di una rivoluzione proletaria. Allora il movimento d’insieme viene considerato come qualche cosa che facilita la presa del potere, sempre che il proletariato lotti in seno al movimento interclassista per i suoi propri interessi. Questa visione politica, tutta teorica, non resiste alla prova della storia reale. Eppure, in tanti si sono fatti illusioni sulla possibilità di una politica proletaria radicale in seno ad una lotta interclassista. L’illusione consiste qui nel fatto che le due classi in lotta, pongono la loro affermazione come il mezzo e l’obiettivo della rivoluzione che intendono attuare. Questa similarità si rivela in particolare nella similarità delle forme di lotta. La classe media condivide con il movimento operaio tradizionale il ricorso alle barricate, alle grandi manifestazioni etc. Da qui la confusione, anche presso certi comunizzatori: quando militanti e attivisti osservano simili manifestazioni di massa, o assistono all’innalzamento di barricate, pensano di potervi scorgere un potenziale di rivoluzione comunista. Sbagliano. Poiché se è vero che l’insurrezione che produrrà l’auto-negazione del proletariato comporterà, in una prima fase, un’affermazione della classe – non fosse che per insorgere –, questa prima fase non consisterà nel difendere una barricata o nel manifestare. Ai giorni nostri, allorché la prospettiva comunizzatrice cambia profondamente i criteri di apprezzamento che la teoria utilizza nell’osservazione dei movimenti sociali, si può essere certi che un’iniziativa del proletariato che comporti un reale potenziale di superamento, si riconoscerà fin da subito da alcune caratteristiche ben definite (demassificazione, mobilità, coinvolgimento massivo del proletariato produttivo, estensione geografica immediatamente internazionale etc.). Tali caratteristiche possono apparire indipendentemente da un movimento della classe media o, come abbiamo detto, in rottura con un simile movimento. In ogni caso, si potranno distinguere in fretta le lanterne che illumineranno i balli comunisti, dalle lucciole dell’interclassismo.

B.A. e R. F., maggio 2017

[1] B. A. ha già pubblicato sul sito www.hicsalta-communisation.fr, uno studio a puntate incentrato sulla teoria del valore, in uscita ad ottobre di quest’anno in versione cartacea: Bruno Astarian, L’abolition de la valeur, Éditions Entremonde, Ginevra 2017. [Ndt]

[2] Bruno Astarian, Solitude de la théorie communiste, settembre 2016. Disponibile sul web: http://www.hicsalta-communisation.com/textes/solitude-de-la-theorie-communiste.