Il ménage à trois della lotta di classe (II): Per une teoria della classe media salariata
Come abbiamo scritto nel primo episodio (Lucciole e lanterne), è nostra convinzione che sia possibile definire in maniera teorica la classe media salariata (CMS). Tale definizione consiste nel porre questa categoria della popolazione all’interno della meccanica di riproduzione del rapporto proletariato/capitale. La CMS esercita una funzione organica dentro questa riproduzione. Essa non è soltanto uno strato sociale, definito in maniera per forza di cose imprecisa dal suo tenore di vita, che sarebbe prossimo tanto a quello del proletariato quanto a quello della borghesia. Il capitale ha bisogno della CMS, e fa quanto è necessario a riprodurla affinché essa possa sempre assolvere alla sua funzione. Si tratta dunque di comprendere la posizione e il ruolo della CMS nella produzione e nella circolazione del plusvalore.
1. La piccola borghesia secondo Baudelot, Establet e Malemort
1.1. Salario e valore della forza-lavoro della classe media
Baudelot, Establet e Malemort (in La petite bourgeoisie en France, Éditions Maspero, 1974), tre autori che si richiamano al marxismo tradizionale, trattano la questione della CMS in maniera più empirica che teorica, ma forniscono un angolo d’attacco convincente. Il loro metodo consiste nel comparare il valore della forza-lavoro dei membri della classe media e il loro salario effettivo. La differenza che si riscontra è ciò che definisce la classe media. Riassumiamo il loro modo di procedere.
Come spiegare la gerarchia dei salari che va dall’operaio all’ingegnere? Perché il capitale paga di più quest’ultimo? Forse perché la produzione della sua forza-lavoro è più onerosa di quella dell’operaio? Baudelot, Establet e Malemort [d’ora in poi: BEM, ndt] rispondono affermativamente e negativamente ad un tempo. Per essi, la gerarchia dei salari non è interamente giustificata dagli scarti di valore esistenti fra le differenti forze-lavoro. Il capitale paga la forza-lavoro dell’ingegnere al suo valore (il costo della sua riproduzione), ma aggiunge un supplemento, che essi analizzano come una restituzione di plusvalore. I lavoratori produttivi della CMS consacrano una parte della loro giornata lavorativa a riprodurre il valore della propria forza-lavoro; il valore che producono al di là di questo limite è per definizione plusvalore. Una parte di questo plusvalore viene restituito alla CMS. Per i lavoratori improduttivi della CMS, la restituzione viene attuata tramite meccanismi di redistribuzione che includono, tra l’altro, lo Stato.
Ecco come BEM procedono nella loro dimostrazione.
Nel 1973, la gerarchia dei salari è stimata nel modo seguente (p. 163):
-
Categoria professionale
Salario (franchi/mese)
Quadro amministrativo superiore
6800
Ingegnere
6000
Operaio qualificato
1660
Operaio non qualificato
1320
Manovale
1110
BEM si pongono quindi la domanda seguente: quali sono le basi economiche della gerarchia dei salari? Esse sono da ricercare solo nelle differenze di valore delle diverse forze-lavoro? Per rispondere, BEM procedono alla stima di questi valori, preoccupandosi di fare ipotesi contrarie al proprio punto di vista, ovverosia massimizzando il valore della forza-lavoro delle professioni meglio pagate. Più le loro stime concernenti il valore della forza-lavoro sono elevate, meno risulterà valida la loro idea secondo cui i salari della CMS comporterebbero un supplemento. Ciononostante, malgrado questa loro accortezza, essi non pervengono a far corrispondere quelli che considerano i valori della forza-lavoro [della CMS, ndt] con i salari osservati. Essi constatano sempre che, per i membri della CMS, il salario è superiore al valore della forza-lavoro.
Per poter calcolare il valore della forza-lavoro, essi la scompongono nei suoi differenti elementi:
-
Usura della forza-lavoro: alimentazione, alloggio, svago, spese mediche etc.
-
Qualificazione: costi della formazione iniziale, costi della formazione continua.
-
Riproduzione familiare: educazione dei figli, mantenimento del coniuge etc.
Composizione del valore della forza lavoro dell’ingegnere (dati del 1969)
Usura della forza-lavoro: BEM ipotizzano che i bisogni dell’ingegnere per contrastare l’usura della propria forza-lavoro, siano gli stessi dell’operaio qualificato (p. 216). Il salario dell’operaio qualificato viene preso come riferimento perché corrisponderebbe esattamente al valore della sua forza-lavoro. Questa ipotesi si basa su un certo numero di dati statistici relativi al consumo. Si deve intendere, con ciò, che il salario dell’operaio qualificato è il salario operaio più prossimo ad un salario d’inquadramento, senza tuttavia includere alcuna «restituzione»? O piuttosto bisogna ammettere che il salario dell’operaio non qualificato è inferiore al valore della sua forza-lavoro? Entrambe le ipotesi sono ammissibili, ma BEM non forniscono spiegazioni su questo punto. Non si tratta qui di comparare i rispettivi consumi effettivi, ma di dare un valore a ciò di cui l’ingegnere e l’operaio qualificato hanno bisogno per la propria riproduzione immediata. BEM ipotizzano che l’ingegnere necessiti delle stesse calorie, della stessa superficie abitabile etc., di un operaio qualificato. La forza-lavoro dell’ingegnere si logora alla stessa maniera, con la stessa velocità, di quella dell’operaio qualificato. Questo elemento del valore della forza-lavoro (usura immediata) è dunque lo stesso per entrambi. Tale è il postulato di BEM.
Qualificazione: sempre in conformità con l’accorgimento di massimizzare il valore della forza-lavoro dei lavoratori della CMS, BEM postulano che i costi della loro formazione iniziale siano a loro carico, e non a carico dello Stato. Ora, in un gran numero di paesi è lo Stato che finanzia la formazione iniziale dei lavoratori, e così accade in Francia, dal cui contesto BEM traggono i loro dati numerici. Per quantificare i costi della formazione iniziale, essi utilizzano i dati del Ministero dell’Éducation Nationale:
-
costo della formazione di un ingegnere: 66.000 franchi;
-
costo della formazione di un operaio qualificato: 11.300 franchi.
Se ne ricava, secondo i loro calcoli, un supplemento di valore, per la forza-lavoro dell’ingegnere, equivalente a 114 franchi al mese (fr/m, ndt) per tutto il corso della sua vita attiva come dipendente. A ciò bisogna aggiungere le spese di mantenimento nel corso dei 10 anni di studi che l’ingegnere compie in più rispetto all’operaio qualificato. Questo significa un incremento di valore della forza-lavoro di 375 fr/m. Tuttavia non è l’ingegnere a pagare questa somma, ma i suoi genitori. Ora, però, anche questo ipotetico ingegnere avrà dei figli, e dovrà pagare per farli studiare. Il calcolo di BEM consiste dunque nel trasferire il valore della sua formazione iniziale a quello della formazione iniziale dei suoi figli. BEM postulano che l’ingegnere paghi gli studi per due figli, da cui risulta (114+375) x 2 = 978 fr/m.
Costi della formazione continua: BEM postulano che non ve ne siano per l’operaio qualificato, e che quelli dell’ingegnere corrispondano interamente alla voce «cultura-tempo libero» dei suoi consumi, cioè 86 fr/m.
Riproduzione familiare: BEM stimano che una coppia di operai qualificati e una coppia di ingegneri abbiano lo stesso numero di figli, e necessitino quindi della stessa superficie abitabile, degli stessi mobili etc. La sola differenza di rilievo tra l’operaio qualificato e l’ingegnere, riguarda le spese consacrate agli studi della prole, trattati nel paragrafo precedente.
In definitiva, il valore della forza-lavoro dell’ingegnere è stimata come segue (p. 221):
Valore incluso in ogni forza-lavoro (salario dell’operaio qualificato): 1125 fr.
Spese supplementari:
Usura supplementare: 0
Qualificazione supplementare iniziale: 980 fr.
Qualificazione supplementare continua: 86 fr.
Riproduzione familiare: 0
Totale: 2191 fr.
Il valore della forza-lavoro dell’ingegnere è dunque stimata in 2191 fr/m. Ora, nel 1969, il salario medio di un ingegnere era di 3832 fr/m. Questo salario contiene quindi 1632 franchi di plusvalore. Il salario dell’ingegnere è composto al 42,6% di plusvalore «restituito».
Da questa analisi, i nostri autori traggono la conclusione che i «piccolo-borghesi» sono coloro che, in ragione della loro posizione all’interno dei rapporti di produzione, «si vedono restituire dalla borghesia una frazione del plusvalore» (p. 224). O ancora: «Piccolo-borghesi sono tutti coloro che non essendo capitalisti, percepiscono come reddito, a prescindere dalla forma di quest’ultimo (salario, utile commerciale, onorario, stipendio), una somma di denaro superiore al valore della loro forza-lavoro» (ibid.). Ritorneremo più avanti sulle nozioni di «piccola borghesia» e di «restituzione» di plusvalore.
In seguito, BEM applicano gli stessi criteri ad ogni sorta di categoria socio-professionale, da cui risulta il quadro seguente:
Categoria professionale |
Salario o reddito (fr/m) |
% di plusvalore presente nel salario |
Quadro amministrativo superiore |
4468 |
55,4 |
Ingegnere (*) |
3882 |
47,9 |
Professore aggregato |
2882 |
41 |
Quadro intermedio |
2437 |
43 |
Professore certificato |
2115 |
24 |
Tecnico |
1899 |
26,7 |
Maestro di scuola |
1494 |
6,9 |
Impiegato |
1240 |
0 |
Professioni liberali |
4875 |
54 |
Grande commerciante |
3165 |
60 |
Piccolo commerciante |
1532 |
19,5 |
(*) base di calcolo leggermente differente da quella esposta più in alto
Si può constatare che, più il reddito è alto, più è grande la parte di plusvalore in esso contenuta. Le ultime tre righe della tabella concernono alcune professioni non salariate. A nostro avviso è illegittimo includerle nell’analisi della «restituzione» di plusvalore. Vedremo più avanti perché.
1.2. Sovraconsumo e accumulazione di riserve nella CMS
BEM deducono dalle cifre utilizzate che, nel 1968, la «piccola borghesia» rappresentava il 17% della popolazione attiva, contro il 70% del proletariato largamente inteso (compresi, in particolare, gli impiegati e i tecnici «quasi-proletari»; pp. 150-152). Per quanto minoritaria, la «piccola borghesia» occupa una maggiore «superficie sociale» a causa del suo sovraconsumo. La «piccola borghesia» compra di più, occupa alloggi più grandi, guida automobili più grosse etc. Questa osservazione è interessante, perché fa della cosiddetta società dei consumi un fenomeno proprio della classe media. Lo è meno quando BEM vi fanno leva per denunciare il consumo di lusso e fare appello al riorientamento della produzione sui bisogni reali degli operai, dopo la rivoluzione (pp. 244-245).
Il sovraconsumo è reso possibile dal fatto che il reddito dei «piccolo-borghesi» comporta una quota di plusvalore. Questa quota permette anche di mettere da parte dei risparmi, di costituire un patrimonio.
«Consumo di lusso e soprattutto accumulazione [di un patrimonio, nda] sono le due principali prove che la piccola-borghesia si vede restituire dal capitalismo una parte del plusvalore» (p. 248). Essi rappresentano anche i tratti distintivi della classe media rispetto al proletariato. Ma BEM non sono granché precisi sul termine «consumo di lusso». Se con esso intendono tutto ciò che l’operaio non può comprare, il termine è improprio, ed è meglio allora parlare di sovraconsumo (alloggi più grandi, vacanze in località più lontane, automobili più potenti etc.). Se invece si riferiscono al consumo di prodotti di lusso, vale a dire fabbricati dall’industria del lusso, designano in tal modo un segmento troppo ristretto del consumo. In effetti, molte famiglie della CMS che hanno accesso a un sovraconsumo, non hanno i mezzi per acquistare prodotti di lusso.
1.3. Le tre frazioni della piccola borghesia
BEM distinguono tre differenti frazioni, all’interno della piccola borghesia (p. 252). In termini numerici, nel 1968, queste tre frazioni si presentavano in proporzioni quasi equivalenti, tra 1,1 e 1,2 milioni di attivi, su una popolazione attiva complessiva di 20,4 milioni, di cui 7 milioni di operai (p. 52) e 13 milioni di proletari in senso lato (p. 303). La distinzione tra queste tre frazioni viene operata secondo due criteri:
-
la situazione di classe, definita dal posto occupato nei rapporti di produzione e dal luogo di drenaggio del plusvalore;
-
la posizione di classe, data dal ruolo giocato nelle lotte sociali e dalla strategia adottata nel quadro del rapporto proletariato/capitale.
1.3.1. I piccoli commercianti
I piccoli commercianti costituiscono ciò che BEM chiamano la frazione I della piccola borghesia. Gli autori insistono nel distinguere i piccoli commercianti dagli artigiani. Questi ultimi sono stati rapidamente liquidati dal capitale poiché esso aveva bisogno di operai. Il piccolo commercio, al contrario, ha avuto un ruolo positivo e durevole nell’ambito della realizzazione e della raccolta del plusvalore. Prima della diffusione dell’automobile, bisognava portare le merci nei quartieri residenziali, non lontano dai consumatori. Il commercio di prossimità era necessario. Dopo la Seconda Guerra mondiale il ruolo del piccolo commercio declina, senza però sparire completamente.
Per BEM, questa frazione ha una forte identità economica e sociale. Si caratterizza per la sua opposizione tanto alla classe operaia che al capitale. Ma è destinata a proletarizzarsi. Curiosamente, BEM associano le professioni liberali a questa frazione. Esse avrebbero in comune il fatto di essere indipendenti, di destra e a favore della libertà dei prezzi.
Si noterà dunque che la frazione I raggruppa i piccolo-borghesi non salariati.
1.3.2. I piccolo-borghesi salariati
Le altre due frazioni raggruppano i piccolo-borghesi salariati.
Frazione II: piccolo-borghesi d’inquadramento del pubblico impiego.
Frazione III: piccolo-borghesi d’inquadramento della produzione, del commercio, del settore bancario e assicurativo.
BEM esaminano la situazione di classe di ciascuna delle due frazioni. Il drenaggio di plusvalore di cui beneficia la frazione II non avviene a livello della produzione del plusvalore, come nel caso della frazione III. E nemmeno a livello della realizzazione del plusvalore, come nel caso della frazione I. Esso avviene attraverso un processo di redistribuzione garantito dallo Stato, secondo uno schema retributivo rigido e anonimo (assenza di un mercato del lavoro dei funzionari, assenza di negoziazione salariale individuale).
All’analisi in termini di situazione di classe, BEM accostano quella in termini di posizione di classe. Fanno in qualche modo corrispondere alla situazione di classe, l’espressione politica di ciascuna frazione. Cosicché la frazione II è perlopiù di sinistra e suscettibile di allearsi con il proletariato, mentre la frazione III è perlopiù di destra.
Riassumendo:
-
la frazione I è reazionaria, ben organizzata sindacalmente e politicamente (Poujade, Nicoud1)
-
le frazione II è progressista. Essa si unisce al proletariato nell’opposizione al grande capitale su questioni come l’educazione e la sanità. Ma «nulla la prepara a comprendere l’idea centrale del socialismo: la dittatura del proletariato» (p. 293).
-
la frazione III è di destra, poco organizzata, poco attiva sindacalmente e politicamente. Essa si sviluppa numericamente poiché il capitale ha un crescente bisogno di lavoro intellettuale altamente qualificato nella misura in cui approfondisce la dequalificazione del lavoro manuale.
2. Limiti del modello di Baudelot, Establet e Malemort
Le analisi di BEM forniscono un quadro generale interessante, ma pongono anche diversi problemi.
2.1. Aggiornamento delle cifre
Secondo Baudelot, interrogato in proposito nel 2016, non esiste un aggiornamento delle cifre che con i suoi colleghi aveva stabilito all’inizio degli anni 1970. Escludiamo di procedere noi stessi a un tale aggiornamento. Non trarremo qui, dai loro lavori, che il metodo basato sulla valutazione dello scarto tra valore della forza-lavoro e salario. Crediamo che i risultati a cui si perverrebbe facendo uso di dati aggiornati, non sarebbero qualitativamente differenti. Dal punto di vista quantitativo, sarebbero probabilmente più che confermati. Oggi la CMS è più numerosa, la gerarchia salariale si è estesa e gli scarti nell’ambito del consumo e del risparmio si sono ampliati. Quindi si può ragionevolmente pensare che lo scarto tra salario e valore della forza-lavoro della CMS sarebbe oggi ampiamente confermato dalle cifre.
2.2. Salario netto o massa salariale?
Nel quadro delle loro ricerche, BEM utilizzano la variabile dei salari netti, ovvero «quel che appare in fondo alla busta-paga». Non capiamo perché non vi abbiano incluso i prelievi sociali (parte padronale e parte salariale) che fanno parte del valore della forza-lavoro (salario indiretto) e le altre componenti del salario socializzato (gli assegni familiari, gli sgravi fiscali etc.). Le somme che padroni e dipendenti versano a vario titolo come prelievi sociali (per la malattia, la vecchiaia, gli incidenti sul lavoro e così via) vanno a costituire dei premi di assicurazione. Essi rappresentano l’acquisto di un servizio, di una merce che in molti paesi è considerata come facente parte dei mezzi di sussistenza necessari alla riproduzione della forza-lavoro. In tali prelievi, la divisione tra parte salariale e parte padronale non deve suscitare illusioni: non è che una convenzione stabilita dalle consuetudini e dalla negoziazione. Ciò che conta nella quantificazione del valore della forza-lavoro, è la somma delle due parti, ovvero la massa salariale che il padrone deve esborsare per assumere. Nei loro calcoli, BEM trascurano dunque la previdenza sociale. Questo modifica forse i risultati ai quali pervengono?
Per ciò che concerne i salari della classe media, i prelievi sociali (di parte salariale e parte padronale) si applicano indistintamente alle due componenti del salario, quella corrispondente al valore della forza-lavoro e quella corrispondente al sovrappiù. Ora, se si applica la stessa variazione del tasso di prelievo alle due parti del salario, lo scarto tra valore della forza-lavoro e salario totale resterà proporzionalmente lo stesso. Se il salario netto di un quadro comporta, secondo i calcoli di BEM, una porzione di plusvalore del 40%, il fatto di applicare al salario lordo un tasso di prelievi sociali del 60% riguarderà in maniera identica le due componenti del salario, senza alterare la parte relativa di plusvalore che esso contiene.
Bisogna inoltre notare che i nostri autori non tengono conto delle pensioni. Queste non fanno forse parte della massa salariale che il capitale deve versare ai lavoratori? E non aumentano dunque i costi della manodopera per i capitalisti? In realtà non è così, almeno se facciamo l’ipotesi che il sistema pensionistico si trovi in uno stato di equilibrio, in modo tale che ogni pensione erogata sia uguale ai contributi versati dal pensionato nel corso della sua vita lavorativa a titolo di prelievi salariali e padronali. Ci possiamo rifare allora al caso trattato nel capoverso precedente.
2.3. Piccola borghesia e classe media salariata
BEM si oppongono all’utilizzo del termine «classi medie». Noi, al contrario, vi siamo favorevoli, in particolare perché riteniamo che questi autori commettano un errore nell’analizzare le tre frazioni che individuano all’interno della «piccola borghesia».
In effetti, essi considerano che la frazione I (piccoli commercianti, professioni liberali) sia beneficiaria di una restituzione di plusvalore da parte del capitale. Non è così. La frazione I è costituita da piccoli (e piccolissimi) capitalisti; il plusvalore di cui si appropriano proviene normalmente dalla perequazione [del saggio di profitto, ndr] alla quale partecipano come qualsiasi altro capitale commerciale. In realtà sono essi i soli veri piccolo-borghesi, nel senso di «piccoli capitalisti». Questi fuoriescono dal quadro della nostra analisi, e ciò per due ragioni. La prima è che questa categoria sociale è in netto declino, in particolare nel caso dei piccoli commercianti (cfr. le cifre fornite nel primo episodio). La seconda è che i piccoli capitalisti sono allo stesso tempo lavoratori e proprietari, e il loro reddito lordo si ripartisce fra ammortamento, salario e profitto. Date queste condizioni, il meccanismo della cosiddetta restituzione di plusvalore non ha luogo. Se il nostro studio esclude la piccola borghesia in senso proprio, per la classe media salariata manteniamo la distinzione operata da BEM tra frazione II (inquadramento della riproduzione del capitale da parte del pubblico impiego) e III (inquadramento della produzione e della circolazione del capitale nel settore privato).
Per BEM, i quali cercano di dare un fondamento alle alleanze che le organizzazioni operaie potrebbero o meno stringere con questa o quella parte della «piccola borghesia», per arrivare alla conquista dello Stato, la distinzione fra le tre frazioni è alla base di una strategia politica. Questo tipo di considerazioni non ci interessano. D’altra parte, le due frazioni che prendiamo qui in esame hanno ancora gli orientamenti politici generali che BEM attribuivano loro? Non è certo. In effetti, i nostri autori situano la frazione II perlopiù a sinistra (alleanza possibile) e la frazione III perlopiù a destra (nessuna alleanza possibile). Ora, la «sinistra» e la «destra» sono esse stesse internamente sfaldate dall’impatto della mondializzazione del capitale. Nel pubblico impiego, tradizionalmente piuttosto orientato a sinistra, una parte dei funzionari è oggi favorevole alla mondializzazione e al liberismo. Questa componente può essere considerata di destra, in opposizione ad altre componenti decise a difendere il pubblico impiego contro le privatizzazioni richieste dalle imprese multinazionali, e che dunque restano fedeli a una certa sinistra, talvolta tinta di sovranismo. Nel privato, più spesso schierato a destra, una parte del personale d’inquadramento, soprattutto nelle piccole e medie imprese, teme la concorrenza delle stesse società multinazionali e opta talvolta per un ripiego sovranista (di destra o di sinistra), mentre un’altra parte resta fedele alla destra liberale. Si vede bene che la distinzione fra frazioni II e III resta utile – forse – per l’analisi sociologica, ma non per l’analisi politica.
2.4. «Restituzione» di plusvalore o sovrasalario?
Restituzione è il termine che BEM utilizzano per rendere conto del sovrappiù di salario di cui beneficiano i salariati della classe media. A tutta prima, l’idea che se ne ricava è la seguente: questi salariati hanno lavorato, hanno prodotto plusvalore, e i capitalisti decidono di restituirgliene una parte. Ciò presupporrebbe in primo luogo che l’insieme di questi lavoratori della classe media sia produttivo. Non è affatto così, non più che nel caso del proletariato. Poiché la parte improduttiva dei lavoratori della CMS non ha prodotto plusvalore, non c’è ragione di restituirne loro una parte. In termini generali, il capitale consacra il plusvalore estorto ai lavoratori produttivi a vari usi, tra cui la costituzione di capitali improduttivi che impiegano salariati improduttivi. L’idea di una restituzione del plusvalore ai lavoratori improduttivi (proletari o quadri) non ha senso, in questo caso. Si tratta semplicemente di un investimento improduttivo. Ritorniamo ai salariati della classe media (produttivi e improduttivi). Il supplemento di salario che percepiscono come personale d’inquadramento capitalistico, non è che uno tra i vari utilizzi possibili del plusvalore sociale disponibile. Così come sterilizzano una parte del plusvalore sociale per finalità improduttive ma necessarie (polizia, esercito, banche etc.), allo stesso modo i capitalisti ne consacrano un’altra parte al versamento di un sovrasalario ai salariati della classe media. «Sovrasalario» ci pare un termine preferibile a «restituzione», in particolare perché indica che il plusvalore aggiunto al valore della forza-lavoro non appare come tale. Non si può distinguerlo all’interno del salario totale, e questa è la fonte di molti errori e illusioni. Il plusvalore non appare mai come tale nella società capitalistica, ma sempre nella forma delle sue frazioni, come reddito di tipi differenti di proprietà (profitto, interesse, rendita). Il sovrasalario si spinge ancora più lontano nell’illusione, poiché fa passare un reddito da capitale per un reddito da lavoro. In tutto ciò, dunque, il sovrasalario non è una restituzione di plusvalore, ma uno dei tanti utilizzi improduttivi possibili del plusvalore sociale disponibile. Due domande sorgono immediatamente.
2.4.1. Perché il sovrasalario non fa parte del valore della forza-lavoro?
Ecco come si presenta la giornata lavorativa di un lavoratore della classe media. Come sempre accade in questo tipo di scomposizioni, si considera che il lavoratore sia produttivo. Per i lavoratori improduttivi non cambia il ragionamento di fondo.
|――――LN――――||―SS―|――PL――|
Nella prima parte della sua giornata lavorativa, il lavoratore riproduce il valore delle merci necessarie alla riproduzione della sua forza-lavoro. Questa parte rappresenta il lavoro necessario (LN). Terminata questa prima parte, il lavoratore lavora gratuitamente per il padrone. Su questo punto non c’è differenza tra un lavoratore della classe media e un proletario, ben inteso se si ipotizza che entrambi sono produttivi2. Nel corso dell’intera giornata lavorativa, l’ingegnere e l’operaio partecipano, ciascuno nel proprio ruolo, alla produzione di una merce data, in quanto membri del lavoratore collettivo. L’operaio produce calzature, l’ingegnere concepisce la macchina sulla quale l’operaio lavora. Ma, oltre a ciò, l’ingegnere «inquadra» l’operaio, ovvero verifica che l’operaio utilizzi la macchina in maniera corretta, che non sprechi materie prime etc. Questa attività, che non produce valore, fa tipicamente parte del lavoro di sorveglianza che il capitalista esercita sui lavoratori. Chiamiamo questa attività non-lavoro, in quanto attività propria alla classe che non lavora ma è proprietaria dei mezzi di produzione. Essere proprietari non significa rimanere oziosi mentre il lavoratore è impegnato a produrre. Il proprietario non lavora, ma deve costantemente attivarsi per verificare che coloro i quali sfrutta lavorino al massimo delle proprie possibilità. Questa attività fa parte di ciò che abbiamo definito «non-lavoro», allo stesso titolo dello svago e del godimento dei proprietari. Il lavoro di inquadramento incastonato nel lavoro produttivo dell’ingegnere, è in realtà non-lavoro, attività che consiste nel far lavorare il lavoratore, nell’organizzare il suo lavoro per massimizzarne il rendimento3 etc. La proprietà capitalistica, che in quanto proprietaria dei mezzi di produzione e sfruttatrice del lavoro, ha l’appannaggio di questo non-lavoro, ne delega una parte al personale d’inquadramento, al quale versa un sovrasalario (SS) per assicurarsi che lo esegua malgrado la sua non-partecipazione alla ripartizione dei profitti. Non ci riferiamo qui ai più alti dirigenti d’impresa, che sono associati al capitale attraverso i pacchetti azionari che detengono o i bonus che ricevono per i loro servigi. Ci riferiamo piuttosto a tutto quel personale che, oltre a produrre o far circolare il valore, o in via finanche esclusiva, interviene a tutti i livelli affinché la produzione e la circolazione si svolgano fluidamente, senza scosse né interruzioni. Si tratta di tutti i capireparto, capiufficio, piccoli quadri, ingegneri etc. Una gran parte del personale della funzione pubblica può essere incluso in questa parte della popolazione.
Dunque, il sovrasalario non costituisce l’equivalente di un insieme di merci necessarie alla riproduzione della CMS in quanto tale. Nell’ambito del suo consumo, il proletario spende il proprio salario per riprodursi come lavoratore disponibile sul mercato; all’opposto, il sovraconsumo dell’ingegnere non aggiunge nulla alle sue capacità produttive. Tutto ciò che concerne la sua riproduzione in quanto ingegnere è già incluso nella componente «valore della forza-lavoro» del suo salario. Che è un altro modo per dire che il sovrasalario non retribuisce il lavoro necessario: è una parte del reddito da capitale (il plusvalore) che quest’ultimo aggiunge ai salari della CMS, a titolo di delega per le mansioni di inquadramento che in teoria spetterebbero ai capitalisti.
2.4.2. Perché il capitale paga i salariati della classe media più del valore della loro forza-lavoro?
Il sovrasalario è dunque una porzione del plusvalore che il capitalista versa ad alcuni dei suoi dipendenti, affinché svolgano una parte delle sue faccende. A che scopo? Non basterebbe pagare l’ingegnere, il caporeparto etc. sulla base del valore delle rispettive forze-lavoro, ovvero in misura sufficiente a riprodursi come tali? Se non venisse versato alcun sovrasalario, l’ingegnere non sarebbe che un proletario, nel senso che disporrebbe solamente di che riprodursi come ingegnere, senza riserve supplementari. Si può certo immaginare degli ingegneri o dei capireparto proletari: sarebbero pagati secondo il valore della loro forza-lavoro, e non potrebbero né sovraconsumare né costituire riserve. Si dedicherebbero allora alla parte tecnica, produttiva del loro lavoro, che farebbero più o meno bene come ogni proletario; ma non avrebbero alcuna ragione di spingere gli altri al lavoro. Non ne avrebbero nemmeno il potere. È il sovrasalario che materializza questo potere, che conferisce autorità e garantisce l’identificazione con l’impresa. È il sovrasalario che permette al quadro di reprimere o di licenziare senza troppi turbamenti. La posizione gerarchica del quadro pronto a licenziare, che si manifesta nel sovrasalario, rassicura quest’ultimo sul fatto che si tratti proprio del bene dell’impresa, e dunque del bene comune (anche nel caso vi siano dei suicidi, come a France Télécom nel 2008-9). È quindi il sovrasalario che associa il quadro alla gestione dello sfruttamento del lavoro.
In Entre bourgeoisie et prolétariat: l’encadrement capitaliste (L’Harmattan, 1989), Alain Bihr giunge, dopo qualche esitazione, alla stessa conclusione. Egli comincia con lo spiegare che il sovrappiù di valore compreso nei salari della CMS, deriva dal monopolio che questa deterrebbe sul sapere acquisito nei licei e soprattutto nelle università o nelle Scuole Normali. È una spiegazione dubbia. Per Bihr, il sistema scolastico è costruito in maniera tale che la classe operaia non possa accedere ai saperi necessari all’inquadramento capitalistico; di rimando, la classe media dispone di un monopolio su questi saperi. Ma Bihr esita, poiché subito dopo aggiunge che «parlare di una rendita proveniente dal sapere in relazione al “plusvalore” incorporato nei salari d’inquadramento, non è totalmente soddisfacente» (p. 199). Il suo ragionamento è dunque il seguente: «il sapere socialmente necessario (alla riproduzione del capitale, ndr) si concentra in questa classe (la classe media, ndr) nell’esatta misura in cui questi rapporti (i rapporti sociali capitalistici, ndr) privano di quel sapere tutti coloro che questa stessa classe ha per funzione di inquadrare. In questo senso, il “plusvalore” incorporato nel salario è una rendita di potere più che una rendita del sapere.» (p. 200). Bihr ne conclude che il sovrappiù di salario di cui gode la CMS, è per il capitale una maniera di assicurarsi i preziosi e leali servigi di coloro che hanno come compito quello di far applicare l’ordine e la disciplina capitalistici.
Il sovrasalario è «per la classe dominante, un modo semplice, per quanto economicamente costoso, di interessare, nel senso più immediato del termine, il personale dell’inquadramento capitalistico all’esercizio della dominazione del capitale.» (p. 200).
È la spiegazione a cui perveniamo anche noi, mostrando come la CMS veda delegarsi una parte della funzione disciplinare che normalmente appartiene ai proprietari dei mezzi di produzione. La classe media salariata percepisce un sovrasalario che è allo stesso tempo un premio di sottomissione (al capitale) e un premio d’autorità (sul proletariato).
La gerarchia dei salari, così come risulta rafforzata dal sovrasalario, legittima dunque il potere del personale d’inquadramento capitalistico sul proletariato, ma anche sui ranghi inferiori del personale d’inquadramento stesso. Poiché esiste anche una gerarchia dei sovrasalari. Come mai i capitalisti versano sovrasalari più elevati a certuni, e più bassi ad altri? La risposta attiene senza dubbio all’ampiezza della delega di cui è oggetto questa o quella funzione d’inquadramento. La gerarchia dei sovrasalari ricalca la gerarchia dell’organizzazione d’impresa. A seconda che si tratti di sorvegliare un grande o un modesto numero di salariati, il relativo sovrasalario sarà maggiore o minore. Se i piani alti della gerarchia guadagnassero meno di quelli bassi, il loro potere sarebbe inesistente.
3. Ménage à trois
Abbiamo dimostrato che la classe media salariata è qualcosa di più che un semplice strato sociale definito da un livello salariale intermedio. Abbiamo inoltre mostrato come il passaggio progressivo dai bassi salari del proletariato ai salari intermedi, e infine a quelli più elevati, del personale d’inquadramento, non sia una semplice transizione statistica, ma nasconda un cambiamento nella natura stessa del salario. Né il mercato del lavoro né le differenze nel valore della forza-lavoro [forza-lavoro semplice e complessa, ndt] bastano a spiegare la gerarchia dei salari. Bisogna quindi far intervenire la nozione si sovrasalario. Lo si fa analizzando la maniera in cui il capitale utilizza il plusvalore sociale totale. La classe media salariata si contraddistingue per il fatto di essere destinataria di una parte di questo plusvalore, sotto forma di sovrasalario. Il capitale acconsente a questo supplemento salariale per pagare l’inquadramento della produzione e della circolazione del valore e assicurarsi lo zelo e la fedeltà della CMS.
Il fatto di essere definita dalla sua funzionalità e dalla specificità dei suoi redditi, fa della classe media salariata una classe in senso proprio. Se il proletariato è definito dalla sua condizione di senza riserve e i capitalisti dalla proprietà dei mezzi di produzione, la CMS è caratterizzata allo stesso tempo dal suo lavoro (qualificato) e dalla funzione d’inquadramento che essa esercita in virtù della delega ricevuta dai capitalisti. Nell’ambito dei suoi rapporti con le altre classi, questa classe difende, com’è normale, i suoi interessi. Eccoci dunque messi a confronto col ménage à trois della lotta di classe, in opposizione allo schema a due classi (lo scontro proletariato/capitale) che prevale da lungo tempo (dai tempi di Gorter?) nelle analisi teoriche della società capitalistica moderna. Cosa cambia? L’apparizione della CMS nel sistema delle classi del modo di produzione capitalistico, modifica lo statuto della contraddizione fra proletariato e capitale come motore fondamentale della riproduzione capitalistica? La risposta è no, ma per arrivarci dobbiamo precisare la posizione della CMS in rapporto alle altre due classi.
Per comprendere la posizione che la CMS occupa nel processo complessivo della riproduzione capitalistica, faremo di nuovo l’ipotesi che l’intera CMS sia produttiva – almeno per quanto riguarda la componente «lavoro» della sua attività. Su questa base, come si situa la CMS nella contraddizione fondamentale del MPC, quella che esiste fra proletariato e capitale, tra lavoro necessario e pluslavoro?
Ricordiamo che una contraddizione si definisce come un rapporto antagonistico tra due poli, nessuno dei quali può rendersi autonomo rispetto all’altro. Essi possono dunque regolare il loro antagonismo soltanto facendolo evolvere verso un superamento che annulli il problema iniziale e/o lo conduca verso una forma nuova. Lo scontro fra classi dal quale discende la successione dei modi di produzione, o ancora lo scontro fra proletariato e capitale da cui consegue il passaggio dal plusvalore assoluto al plusvalore relativo nel MPC, costituiscono dei buoni esempi. In entrambi i casi, la riproduzione della contraddizione genera il proprio movimento e la storia in modo immanente. La CMS si trova forse in un tale rapporto, che sia con il capitale o con il proletariato? No, per l’appunto. La sua propria esistenza e la sua evoluzione derivano da un rapporto contraddittorio che la precede storicamente e logicamente, e che la determina dall’esterno. Bisogna dunque analizzare la posizione della CMS in funzione dell’andamento della lotta tra proletariato e capitale, sia in relazione al corso quotidiano della lotta di classe, sia nel caso in cui quest’ultima abbia raggiunto il punto d’esplosione della contraddizione.
3.1. La CMS nel corso quotidiano della lotta di classe
Nella misura in cui ha scisso lavoro manuale e lavoro intellettuale, il capitale ha dovuto dotarsi di un personale sempre più numeroso incaricato di istruire e sorvegliare il lavoro manuale (taylorismo, fordismo). Quest’evoluzione ha generato la classe media salariata, specializzata nel lavoro intellettuale. Questi lavoratori, che appaiono fin da subito come ausiliari del padronato, sono tuttavia dei salariati. In quanto tali, non scendono forse in lotta contro il capitale? Vediamo innanzitutto come si situa il salario della classe media salariata nella totalità del lavoro sociale. Prendiamo in considerazione la giornata lavorativa sociale:
|——–LNprol——–|–LNcms–||—SS—|——-PL——–|
Il proletariato [produttivo, ndt] lavora per una porzione della sua giornata lavorativa a creare l’equivalente del proprio salario (LNprol). La CMS produttiva deve anch’essa lavorare per poter ripagare il valore delle merci necessarie alla sua riproduzione (LNcms). La somma LNprol + LNcms rappresenta l’insieme del lavoro necessario della società. Il resto della giornata lavorativa è costituito da pluslavoro. Il salario della CMS è incrementato dal sovrasalario (SS), tratto dalla massa del plusvalore creato dal pluslavoro dei proletari e della CMS (nel nostro schema, questa massa è uguale a SS + PL). Rappresentata dal segmento LNcms+SS, la classe media salariata si situa a metà strada fra il proletariato e il capitale. Essa è dunque un essere ibrido. Siccome percepisce un salario, è condotta a scontrarsi con il capitale ogni qual volta ritiene che la sua retribuzione sia troppo bassa. Essa può allora trovarsi associata alle rivendicazioni del proletariato. Ma poiché percepisce anche un sovrasalario, essa tenderà d’altra parte ad associarsi al capitale per intensificare la produzione di plusvalore da parte del proletariato. Secondo le circostanze e gli interessi suoi propri, la CMS si trova dunque associata all’una o all’altra delle due classi fondamentali del MPC.
3.1.1. La CMS contro il capitale
Quando la CMS si unisce al proletariato nella sua lotta contro il capitale, è per difendere il proprio salario, e quindi – logicamente – il proprio sovrasalario; poiché, se i salari della CMS sono sotto attacco, il primo adattamento da parte di quest’ultima consisterà nel ridurre (momentaneamente?) il sovraconsumo per restare riproducibile nel suo statuto di CMS. Si tratta della stessa difesa del sovraconsumo e del proprio status, che si può osservare allorché la CMS lotta da sola (fatta salva la partecipazione di qualche proletario a titolo individuale) contro il capitale. In tali casi, la CMS è generalmente perdente. Essa si presenta spesso in questa forma attraverso le lotte ambientaliste (Gezi 2013, Cina), ma anche nelle lotte «democratiche» come Occupy Wall Street. Quest’ultimo movimento ha protestato essenzialmente contro l’1% costituito dai più ricchi della società che domina il restante 99%. Voleva ottenere dal presidente Obama una commissione presidenziale per mettere fine all’influenza del denaro sulle scelte dei politici eletti al Congresso di Washington. Nientemeno! Dietro queste posture virtuose, c’è soprattutto il fatto che la concentrazione della ricchezza e del potere in una piccola minoranza posta al vertice della società, implica per la CMS la perdita della propria ricchezza ed influenza. Il suo sovrasalario è minacciato, come dimostra l’accrescimento smisurato dei crediti studenteschi negli Stati Uniti. Altre proteste politiche obbediscono ad una logica simile, allorché la CMS difende il suo sovraconsumo contro l’inflazione e la penuria «economica» (Venezuela) o «politica» (Iran).
3.1.2. La CMS contro il proletariato
La CMS è pagata per agire contro gli interessi immediati e quotidiani dei proletari. In termini generali, essa assolve a questo compito di fronte alla minima rivendicazione o al più piccolo sciopero: fa di tutto per intralciare la sia pur minima iniziativa di resistenza del proletariato, sia col discorso conciliatore, con la minaccia di sanzione, con il sabotaggio anti-sciopero o col lavoro «giallo». È questo a giustificare il sovrasalario. Così come quando, in un movimento di più ampia portata nel quale si era inizialmente trovata associata al proletariato, la CMS si rivolta contro di esso non appena abbia ottenuto soddisfazione o rinunciato alla lotta. Essa considera allora che sia tempo per i lavoratori di rimettersi al lavoro e produrre il plusvalore necessario ad alimentare il sovrasalario.
Per limitarsi ad un solo esempio, si è potuta osservare una tale inversione in Egitto, quando il generale Al-Sisi ha annunciato, ai primi di luglio del 2013, la destituzione del Presidente della Repubblica, Morsi, e la presa del potere de facto da parte dei militari. Dietro di lui, mentre parlava alla televisione, c’erano il grande imam di Al-Azhar, il gran pope, il segretario generale del partito Nour (salafita), il premio Nobel El-Baradei e, last but not least, Mahmoud Badr, il giovane leader della campagna di massa Tamarrod, che aveva portato alla gigantesca manifestazione del 30 giugno contro Morsi e alla sua destituzione, sebbene quest’ultimo fosse stato eletto democraticamente. Abbiamo qui un’ampia rappresentanza delle differenti componenti della classe media egiziana. Poco importano le illusioni che animavano questi individui sullo spirito democratico regnante nelle alte sfere dell’esercito. Quel che è certo, è che Morsi e i Fratelli Musulmani non erano riusciti a porre fine all’ondata di scioperi iniziata prima della caduta di Mubarak (febbraio 2011), e che questa ondata si sia quasi completamente esaurita nel secondo semestre del 2013, dopo il colpo di Stato di Al-Sisi.
3.1.3. Posizione della CMS nella contraddizione proletariato/capitale
Situandosi ora in un campo, ora nell’altro, la classe media salariata gioca un ruolo nella riproduzione della contraddizione che fonda la società capitalistica? Sì, ma questo ruolo dev’essere precisato.
Nella misura in cui, associandosi all’uno o all’altro dei due poli della contraddizione, essa pesa contro l’altro, la CMS contribuisce ad accentuare lo scontro. Così, quando richiede un aumento salariale, essa minaccia i profitti del capitale e lo spinge, allo stesso titolo del proletariato, ad adattarsi ricercando nuove fonti di plusvalore, incrementi di produttività etc. «Allo stesso titolo», ma non con la stessa forza del proletariato: innanzitutto perché la CMS è meno numerosa del proletariato, ma soprattutto perché è meno incline alla rivendicazione. Ciò è naturale, poiché essa dispone di riserve. Globalmente, il corso quotidiano dello scontro fra classe media e capitale è piuttosto piatto. Ed è evidentemente l’esistenza del sovrasalario a spiegare questa calma; in quanto il sovrasalario permette il sovraconsumo ed elimina, in tempi normali, la costrizione a lottare per il necessario che pesa sul proletariato.
Viceversa, quando agisce contro il proletariato, la CMS ne rafforza lo sfruttamento, favorendo l’aumento dei profitti del capitale. In tal modo, essa spinge il proletariato alla resistenza, se non alla rivolta, e rilancia dunque la meccanica che approfondisce senza sosta la contraddizione tra le due classi fondamentali.
La CMS appare dunque come un elemento ausiliario della contraddizione proletariato/capitale. È un altro modo per dire che questa classe non si trova in un rapporto di contraddizione con l’uno o con l’altro. Nella sua relazione col capitale, e nella misura in cui è produttiva, essa è classe sfruttata, poiché produce plusvalore. Lo sfruttamento che subisce la rende forse «anticapitalista»? Certamente no, poiché essa si contraddistingue anche per la percezione di un sovrasalario, che è una quota del plusvalore sociale. Il rapporto di sfruttamento in cui è presa, è in qualche modo compensato dal sovrasalario. Come abbiamo visto, la CMS si trova in un rapporto antagonistico ma non contraddittorio con il capitale. Essa vi si oppone per incrementare i propri salari, ma non desidera in alcun modo che il capitale interrompa – o riduca – lo sfruttamento del proletariato, da cui proviene la gran massa del plusvalore sociale. Da qui il suo riformismo incorreggibile, anche allorché assume tinte «radicali».
Nel suo rapporto col proletariato, la CMS è al contempo un ausiliario dei capitalisti. Essa favorisce lo sfruttamento del lavoro, senza tuttavia sfruttarlo direttamente. In effetti, il sovrasalario non appare socialmente come una quota del plusvalore, e non viene da una sottrazione che i padroni opererebbero post-festum sui loro profitti. In generale, non esiste una correlazione visibile, a livello individuale, tra lo zelo anti-proletario di questo o quel salariato della CMS, e il livello del suo sovrasalario; quest’ultimo non è un premio direttamente proporzionale al numero di misure disciplinari che il caporeparto infligge all’operaio. E il sovrasalario non varia nemmeno in funzione dei bilanci trimestrali delle imprese. La CMS non controlla la raccolta né l’utilizzo del plusvalore. Sono i capitalisti ad intascarlo e a ripartirlo fra i differenti usi possibili. La CMS partecipa all’esecuzione delle decisioni che ne seguono: investire, assumere, licenziare etc. Ma essa stessa è composta da salariati, e il capitale glie lo ricorda in modo talvolta brutale.
Succede infatti che la CMS si rivolti in massa contro il capitale (Venezuela, Tunisia, Egitto) per sostenere rivendicazioni sostanziali. La repressione della CMS, proprio come quella del proletariato, è allora commisurata alla sua combattività. Esamineremo più oltre alcune di queste rivolte. Per il momento, accontentiamoci di osservare che il loro riassorbimento non costituisce affatto il superamento di una contraddizione (o la sua riformulazione ad un livello superiore), nel senso che il ritorno alla normalità – quale che sia l’esito dello scontro – non dipende dal rapporto CMS/capitale, ma dal rapporto proletariato/capitale.
3.2. La CMS nella rottura del rapporto proletariato/capitale
Sfruttata ma ingrassata da una quota del plusvalore, «sfruttatrice» ma senza intascare profitti, la classe media salariata gioca un ruolo soltanto ausiliario nella meccanica della contraddizione fondamentale del MPC, che è essenzialmente retta dalla lotta tra proletariato e capitale per la ripartizione della giornata lavorativa (lavoro necessario/plusvaloro, ndt). Per la CMS, questa contraddizione è un dato. In particolare, non è la CMS a spingere la contraddizione fino al suo punto di rottura. La CMS non ha né la volontà né i mezzi per rompere il rapporto di presupposizione reciproca che le altre due classi intrattengono fra loro. La questione è dunque la seguente: quando interviene una tale rottura, quando cioè il proletariato si solleva contro i capitalisti, cosa fa la classe media salariata? L’interrogativo è abbastanza platonico, poiché una tale situazione non ha più avuto luogo dagli anni attorno al 1968 (in Francia e in Italia); e per di più non si trattava di vere insurrezioni, ma solamente di situazioni che avrebbero permesso di avvicinarvisi.
Ci sforzeremo, più oltre, di approfondire l’analisi della situazione della CMS in un contesto di rottura insurrezionale. Per il momento, ci basti dedurre dal posto che la CMS occupa nel rapporto di sfruttamento, che la rottura di questo gli è per forza di cose avversa, poiché la produzione di plusvalore risulterà bloccata in tutte le zone in cui il proletariato è insorto. In tutte queste aree, nessuna alleanza sarà possibile tra la CMS e il proletariato rivoluzionario. Nello scontro fra il proletariato insorto e il capitale, la CMS prenderà partito per il secondo, partecipando (attivamente o passivamente) alla repressione.
Ciononostante, le frazioni più avanzate della CMS cercheranno di riportare il conflitto ad un livello più quotidiano, che permetta la negoziazione. Esse potranno farlo facendo leva sulle zone in cui l’insurrezione non è ancora cominciata, o è già stata sconfitta. Nella misura in cui vi interverrà, la CMS si adopererà per riportare lo scontro fra proletariato e capitale al livello della negoziazione – dove la produzione del plusvalore è ristabilita, anche se perdurano i conflitti. Tutto il personale politico e sindacale vi si dedicherà, ma la CMS in quanto tale potrà a sua volta contribuirvi partecipando alla lotta. Essa si inscriverà allora in una forma avanzata di controrivoluzione, promuovendo lotte capaci di infastidire alcuni capitalisti, e dando in questo modo prova della propria sincerità «anticapitalista». La classe media potrà basare le sue «proposizioni costruttive» su quella frazione del proletariato che non è ancora ingaggiata in una pratica di puro scontro, ma che lotta ugualmente, rivendica etc. Inoltre, essa potrà «capitalizzare» le sconfitte o gli arretramenti del proletariato insorto, per conquistarne almeno una parte alla causa delle riforme e del realismo. E per far valere le sue proposte controrivoluzionarie, non esiterà ad assumersi in proprio il «lavoro sporco» contro le frazioni più incontrollate del proletariato, nella misura in cui i suoi tentativi di isolarle saranno risultati vincenti.
In una fase di crisi profonda e di rottura della presupposizione reciproca delle classi, nessuna alleanza tra CMS e proletariato può essere presa in considerazione. È solo nella versione programmatica della teoria [comunista, ndt], che il proletariato poteva progettare di trascinare politicamente almeno una frazione della classe media (solo in parte non salariata) nella sua rivoluzione – e oltretutto non necessariamente fino in fondo. Oggi questa prospettiva non è più all’ordine del giorno. Talvolta, tuttavia, la si ritrova sotto una veste derisoria in certi testi militanti, anche presuntivamente vicini alla comunizzazione. Per esempio:
«Sta ad una minoranza di attuali e futuri/e proletari/e che rifiutano il lavoro (lavoratori/lavoratrici, liceali) ma anche ai disertori della loro classe (studenti/studentesse insubordinati/e, membri sovversivi dell’inquadramento etc.) esortare – senza dirigere come un’avanguardia – questa soggettività vivente e resistente in ognuno, contro l’homo oeconomicus che è in loro e contro l’ideologia del lavoro e i suoi zelanti sostenitori». (Comité érotique révolutionnaire, Libérons-nous du travail – en partant du printemps 2016, Éditions Divergences 2016, p. 47)
La classe media ci appare qui nella forma del militante che va a incontrare il proletariato, naturalmente non per dirigerlo, ma per esortarlo a purificarsi dagli interessi economici che alimenta.
O ancora:
«Dobbiamo cercare di incontrare in tutti i settori, su tutti i territori che abitiamo, coloro che dispongono dei saperi tecnici strategici […] Questo processo di accumulazione di sapere, insieme alla creazione di complicità in tutti i campi, è la condizione per un ritorno serio e di massa della questione rivoluzionaria». (Comitato Invisibile, Ai nostri amici, s. l. 2015, p. 40)
Qui, il militante parte in direzione di altri membri della classe media salariata, quelli che detengono i saperi necessari alla produzione. Certo, non si tratta di essere i loro commissari politici, ma i loro complici, i loro compari.
La grande ingenuità di queste proposte dipende dal fatto che le scelte politiche e ideologiche degli individui vi hanno la meglio sull’appartenenza di classe, che appare qui solo come controfigura. Sono ragionamenti che possono avere un senso fin quando la società – che sia in fase di prosperità o di recessione – bene o male funziona, e consente una pratica politica, per quanto vana. Quando la classe media cerca un alleanza con il proletariato, essa la formula nelle forme della politica. Nella comunizzazione, non ci sarà alcuno spazio per una politica rivoluzionaria, e a maggior ragione per un’alleanza politica tra proletariato e CMS. Di fronte a un proletariato che cercherà di negarsi, di abolire immediatamente le classi e di superare il lavoro e l’economia, la CMS sarà indotta a difendere salario e sovrasalario. Nella sua partecipazione ai tentativi controrivoluzionari, avrà buon gioco nel far valere il suo saper-fare produttivo e d’inquadramento. Essa troverà in ciò la base di una doppia alleanza, da un lato con una frazione del proletariato, dall’altro con la frazione «progressista» del padronato. Si atterrà in tal modo al suo ruolo di elemento ausiliario nella contraddizione proletariato/capitale.
4. La classe del quiproquò
In conclusione, l’apparizione di una terza classe in seno al modo di produzione capitalistico non ne modifica fondamentalmente l’analisi. La contraddizione proletariato/capitale resta il solo motore dell’evoluzione della società capitalistica, e la CMS non vi interviene che in modo ausiliario, come intermediario. I suoi interventi stessi, d’altronde, si spiegano solo attraverso l’andamento del rapporto di sfruttamento cui sottostà il proletariato, che è la determinazione primaria della massa del plusvalore disponibile, e dunque delle possibilità stessa di un sovrasalario. Perché allora introdurre la CMS nell’analisi del rapporto sociale complessivo? Innanzitutto perché si tratta di una componente relativamente importante della popolazione, che non si può classificare né come borghese né come proletaria; e che è possibile definire come una classe sulla base dei meccanismi fondamentali della riproduzione del MPC. Inoltre, perché la classe media, almeno dall’inizio del secolo, è scesa in lotta facendosi conoscere nella sua specificità. Senza dubbio, per noi, le sue lotte hanno un’importanza solo secondaria. Che cosa ci importa del fatto che un Ben Ali o un Mubarak siano o non siano destituiti? Quale interesse può avere il fatto che Moussavi venga o meno eletto a Teheran (2009)? La risposta risiede, da un lato, nel fatto che l’analisi di queste lotte rientra nella normale attività della teoria comunista, che ha il dovere di comprendere tutti i risvolti e i soprassalti della società capitalistica. «Comprendere», ma anche valutare. Ovvero sforzarsi di cogliere, dall’altro lato, il rapporto che può sussistere tra la CMS come realtà socio-storica, e la possibilità del comunismo. Per noi, l’analisi della società capitalistica non ha interesse che a condizione di farci progredire nella comprensione del comunismo, della sua possibilità, degli ostacoli coi quali si deve confrontare. Ora, è un fatto che le lotte recenti della classe media salariata abbiano dato luogo a molti quiproquò. La classe media è stata massicciamente presente in numerose lotte recenti in giro per il mondo, e spesso ne ha complicato la comprensione, in particolare inducendo molti commentatori a vedere la rivoluzione là dove non c’era, o il proletariato in prima linea quando invece era a rimorchio degli eventi. Per esempio – e senza arrivare a parlare di rivoluzione – il movimento francese del 2016 contro la Loi Travail ha suscitato tante speranze e altrettante analisi che lo hanno fortemente sopravvalutato. Una parte della classe media francese ha voluto giocare all’insurrezione, mentre una piccola frazione del proletariato avanzava rivendicazioni, benché in maniera generalmente poco ludica. Questo conflitto sarà l’oggetto del prossimo episodio.
B. A. – R. F., giugno 2017
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1 Nel panorama francese, Pierre Poujade (1920-2003) e Gérard Nicoud (1947) sono stati, in tempi diversi, due importanti leader politico-sindacali della piccola borghesia indipendente. Poujade animò l’Union de Défense des Commerçants et Artisans (UCDA) e diede il nome all’omonimo movimento (poujadismo) che, all’epoca della IV Repubblica (1945-1958), espresse lo scontento di artigiani e commercianti in declino nei confronti del parlamentarismo e del grande capitale. Un decennio più tardi si inscriverà nello stesso solco Nicoud, in qualità di segretario della Confédération Intersyndicale de Défense et d’Union Nationale des Travailleurs Indépendants (CIDUNATI). (ndt)
2 Quanto ai lavoratori improduttivi, il valore della loro forza-lavoro è egualmente fissato dal valore delle merci di cui hanno bisogno per riprodursi. La sola differenza è che non è il loro lavoro a produrre questo valore, ma quello dei lavoratori produttivi, che genera il plusvalore necessario a pagare gli altri.
3 Cfr. la prima parte di Bruno Astarian, Le Travail et son dépassement, Senonevero, 2001.